C’è una stanza un po’ magica. Una di quelle che nel momento che chiudi la porta dietro di te ti accorgi di essere in un ambiente così lontano e fantastico, così imprevedibile che potrebbe accadere l’impossibile. Una di quelle stanze in cui potrebbe nevicare dentro o sbocciarvi la primavera, potresti essere in pericolo da creature che ti vorrebbero togliere la vita o arrivare alla fine della tempesta a vedere che alla fine ciò che rimane è il cielo sopra le nostre teste.
Entra pure a vedere nella mia.
Nella mia stanza ci sono, tra le altre cose, tanti affetti non detti. Persone che non sanno nemmeno di stare qui dentro, non sono a conoscenza di quanto importante sia la seduta che ho riservato loro. Forse è meglio che io scriva di loro perchè quando poi certe cose vengono dette non era il momento giusto. Ma come fai a ponderare così bene e scegliere il momento giusto. Mi nascondo dietro la mia impulsività la maggior parte delle volte, poi rovino le cose e allora forse la cosa migliore è starmene zitta, tenermele dentro certe cose. Quindi le tengo confuse in questa stanza dove gli affetti, i sentimenti e le cose non dette giocano a nascondino tra di loro e quando si trovano poi cominciano a giocare ad acchiapparella. Giocando come bambini nella mia testa.
Si dai che ti voglio bene ma non so se voglio dirtelo
si dai che in fondo il bene è tanto, così tanto che non lo spieghi
perchè a dir la verità è tutto un po’ troppo complicato
che sì, è questione di sangue
e non dovrebbe essere poi così difficile
soprattutto alla nostra età
che ancora non si tratta di eredità
che mamma e babbo stanno bene
l’unico dispiacere: noi che non ce lo diciamo.
È tutto complicato
che a me gli abbracci facevano paura
e sì, è questione di sangue
ma io di sangue ne ho perso così tanto
dalle ginocchia e dai polsi
che non so nemmeno quanto me ne sia rimasto
in realtà.