Domenica alle nove e mezzo di sera il telefono suona mentre lui è in cucina con un toast al formaggio in mano e un libro sulla tecnica di costruzione delle piramidi egizie, aperto davanti.
Sdraiata sul divano, con il cellulare vicino, Marta guarda il display e decide di non richiamare la telefonata persa: sta sfogliando il catalogo della mostra dedicata a Van Gogh che ha appena visitato ed è immersa in quella poesia fatta da momenti lirici, ossessivi e irripetibili, in quel mondo che lui aveva saputo creare andando oltre la realtà, estraendo dalle cose significati arcani. Le notti sono piene di lune, i giorni di tanti soli; quel turbinio di luce ossessiva che attraversa i suoi cieli diventa un grido. Ecco quello che l’affascina: la trasformazione dei colori in corpi spirituali, l’ossessione, ad esempio, del giallo che lui aveva messo dappertutto: nei campi di grano, nella seggiola di paglia, nel cielo, nel sole. Assetato di luce, nei suoi dipinti trasmetteva la sua ansiosa ricerca; Marta si sofferma a osservare il campo di grano, ne sente l’enorme calore, la vampa estiva: quello che provava da bambina quando andava a trovare i nonni in campagna. Così come il silenzio che lui aveva dipinto nel vecchio seduto in Alle soglie dell’eternità; il pittore era disperato all’idea di rimanere solo, di essere abbandonato, si riteneva una nullità, un fallito. Marta guarda quei quadri, ritrovando i suoi stati d’animo, come se sfogliasse la sua vita con i problemi quotidiani, le ansie, le paure; ma a differenza dell’artista, che aveva avuto il coraggio di uscire dal conformismo creando quelle opere d’arte che rappresentavano un ponte verso l’assoluto, il mistero, l’eternità, lei lascia che la sua esistenza scorra da sé, senza avere il coraggio di afferrarla, di agire. Confronta la sua comoda vita, senza scosse, con quella folle travagliata e tragica del pittore; perché si sente così insoddisfatta? Forse perché non ha il coraggio di scavare in se stessa alla ricerca di qualcosa di più, ha timore di scoprire il suo lato oscuro? Lei, stimata professionista, con una relazione stabile, alla soglia dei quarant’anni, s’interroga. Non tanto per il suo aspetto, in quanto, con una dieta appropriata e una costante attività fisica, ha il corpo di una ventenne, bensì sui suoi sogni, i suoi desideri, sul tempo: Kairòs. Il suo stato d’animo in quel momento è quello rappresentato da Il campo di grano col volo di corvi: le ali nere avanzano verso l’osservatore, il cielo è tempestoso, le spighe di grano sferzate da un vento terribile sono piegate; si sente preda dell’inquietudine che non sa dominare. Decide ancora una volta di fuggire: chiude il catalogo, prende il telefono e chiama quell’ultimo numero.
Rita Reggiani